L’utilizzo di nuove tecnologie in un settore di attività comporta sempre un maggior costo economico e sociale (si pensi, ad esempio, alla problematica del digital divide che assume contorni preoccupanti per il solco che viene scavato tra il mondo ricco e sviluppato e quello povero e sottosviluppato).
Proprio per questo maggior costo, l’uso delle tecnologie deve produrre un valore aggiunto che pareggi ed accresca il valore intrinseco del servizio erogato o del prodotto sviluppato.
Nel campo dell’istruzione e della formazione il “valore” è rappresentato, principalmente, dalla qualità dell’esperienza di apprendimento vissuta dalle persone interessate (altri e, secondo me, secondari “valori” possono essere la facilitazione dell’accesso o l’abbattimento dei costi).
L’uso didattico delle tecnologie diventa, così, giustificato se dal suo uso si possono ottenere risultati di apprendimento altrimenti non ottenibili.
Parlare di “qualità” dell’apprendimento significa, prima, definire i criteri secondo cui questa variabile viene misurata.
E’ formazione di qualità quella che:
- produce apprendimento profondo (conoscenze stabili, applicabili, utilizzabili per realizzare attività e risolvere problemi);
- non produce “conoscenza inerte” ma applicabile in situazioni reali;
- consente di sviluppare una conoscenza da utilizzare come uno strumento per risolvere problemi;
- si realizza in una dimensione sociale;
- è centrata sulla persona che apprende (e non sui contenuti);
- richiede al soggetto che apprende di lavorare (costruire) con le informazioni date (e non una loro mera memorizzazione e ripetizione);
- attiva uno sforzo cognitivo;
- viene attivata dalla dissonanza cognitiva;
- consente di lavorare in contesti reali e con problemi altrettanto reali;
- affronta, attiva e sostiene la complessità del processo cognitivo;
- consente di costruire un senso personale delle informazioni ricevute.
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