lunedì 30 aprile 2007

Come cambia il potere nella scuola con web 2.0 (1)

Una acuta domanda fatta una persona presente alla nostra presentazioni a Genova, mi ha fatto venire voglia di riflettere ulteriormente sulla questione.
Il collega ha domandato: "l'uso degli strumenti del web 2.0 all'università, come viene visto dalla gerarchia accademica? Si pongono problemi politici quando gli studenti, invece di usare gli strumenti messi a disposizione dall'università, spesso un LMS, usano propri blog o wiki,? quando invece di limitarsi a studiare la bibliografia ufficiale ricercano informazioni su Google? Quando invece di stare ad ascoltare i professori, si confrontano con colleghi?" ... e via dicendo.
Good question, direbbe chi sa l'inglese.
La mia risposta, lì per lì fu, pressapoco questa: "La dimensione informale dell'apprendimento - accanto a quella formale/ufficiale è sempre esistita. Continueranno a convivere. Con web 2.0 questa dimensione "informale" avrà certamente maggior peso e questo potrebbe modificare qualcosa, soprattutto nella dimensione "potere".
Adesso rifletto ulteriormente.
Quali scenari potremo prefigurare? Come si ridistribuirà il potere? Chi guadagnerà? Chi perderà?
La questione mi intriga non tanto per i suoi aspetti di potere puro ma per i suoi aspetti pratici. Enzo Spaltro, uno dei padri della psicologia del lavoro italiana, uno dei primi ad usare i T-Group qui da noi (onorato di averlo conosciuto ed aver lavorato brevemente con lui, lo spero ancora tra noi ed in buona salute) distingueva tra "potere come comando" e "potere come opportunità".
Dato che mi pare che il potere venga inteso prevalentemente nella prima accezione, temo che di fronte alla prospettiva di una perdita di potere si possano mettere in atto meccanismi di boicottaggio, se non proprio di ostacolo palese. E mi piacerebbe fosse scongiurato.
Oppure che il tutto venga fagocitato, "normalizzato" e depotenziato. Pericolo vero.
Vedo troppi discorsi, in ambienti ufficiali, di adesione entusiastica al social network, al web 2.0 ed ai suoi strumenti avendo sullo sfondo le solite prassi didattiche che questa adesione, più che convinta, mi pare quasi un "mettere il cappello sulla sedia" a dire: "questo è mio".
Se fosse vero, sarebbe la morte. Ma non credo avvenga.
Non sono più, grazie a dio, i tempi di una volta.
Già alla scuola media funziona sempre di meno il potere formale dell'insegnante. Alle superiori è evidente che la sola autorità se non associata all'autorevolezza della competenza non regge.
E' vero, l'insegnante ha sempre l'arma del voto (e la sa usare benissimo) ma è un comportamento suicida e di sopravvivenza nel breve periodo. All'università, i livelli di maturità e di autonomia sono già maggiori e lo studente esercita già un suo potere, ma l'atteggiamento di chi sta in alto può fare la differenza facendo sprecare risorse ed opportunità.
Il già citato (giovane) collega chiosava in chiusura con un velo di malinconia evidenziando che chi "comanda" adesso nella scuola è una persone su con l'età e che, probabilmente, per un vero cambiamento sarà necessario attendere il decorso naturale degli eventi......
Auguro a tutti lunga ed attiva vita e sono certo che saggezza dei boss non farà si che quella indicata dal collega sia l'unica strada del cambiamento.....

11 commenti:

  1. su alcuni punti che hai affrontato abbiamo aperto una discussione su slideshare
    http://www.slideshare.net/mentelab/web20-e-conoscenza/1

    un modo per condividere la conoscenza

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  2. Ho visionato l'interessante serie di slide ed i commenti lì postati. Ho lasciato anch'io un commento in cui dico che, d'accordo con lo strapotere della " cultura dominante" ma ognuno di noi ha certamente piccoli spazi di potere (nel senso di "poter fare") in cui può agire come meglio crede. Non avremo puntati i riflettori di cui gode il potere ufficiale, ma possiamo certamente fare qualcosa che dia un contributo al cambiamento

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  3. Il problema che sta alla base di tutto quello che leggo qui, e che trovo, sottolineo fortemente, molto stimolante e interessante, è che esiste ancora oggi e forse ancora per molto un digital divide marcato all'interno del nostro stesso "bel paese".
    Proprio stamani ho provato a far fare un sondaggio ad un gruppo di alunni, per comprendere se e come riterrebbero utile l'uso di internet tramite forum e altro nella didattica, e molti di loro hanno obiettato che il pc non è ancora così tanto diffuso.
    Ho l'impressione che i ragionamenti che sto seguendo nel blog siano centrati più su utenze adulte che adolescenziali.
    E' pur vero che accanto alla massa di alunni che non hanno pc o internet a casa, o che non possono usarlo perchè i genitori non vogliono (esiste anche questo) c'è il caso (raro) di un'alunna che ha tre blog personali, o dell'appassionato di computer che si alza alle 5 di mattina per registrarsi ad un gioco di ruolo online nuovo.
    Quei ragazzi che hanno il computer e internet usano normalmente, sottolineo normalmente, youtube, i motori di ricerca, sanno trovare informazioni senza grosse difficoltà, e questo secondo me è decisamente positivo, ma quelli che non hanno lo strumento?
    Poi nella scuola c'è anche il problema del rapporto con i genitori, ti faccio un esempio: ho sperimentato la registrazione tramite penna usb di dialoghi e brevi brani recitati in lingua straniera, così come di prove orali o pezzi di lezione, e le ho rese disponibili su un sito dove i ragazzi potevano riascoltare.
    Dopo un mese e mezzo i genitori hanno chiesto alla dirigenza scolastica la chiusura di quella parte del sito perchè "c'è la privacy" e non volevano che si sentissero le voci dei loro figli in internet....
    Nel bel mezzo delle riflessioni sull'apprendimento collaborativo e/o costruzionista, questi problemi come vengono affrontati?

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  4. invito i colleghi a leggere questa discussione:

    http://www.precari.org/forum/topic.asp?TOPIC_ID=10985

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  5. Ho letto con interesse la discussione che si sta svolgendo nel forum citato e, non per essere il classico e fastidioso "Salomone", trovo del condivisibile nelle diverse posizioni (ben argomentate e con quel giusto di emotività che si conviene quando si parla di cose, per noi stessi, rilevanti. Mi pare "normale" che si viva con un certo fastidio la raffica di consigli non richiesti su come si deve gestire la classe che ti arrivano attraverso paroloni e libroni, quando i tuoi problemi sono ben altri. Non puoi godere della bellezza di una sinfonia di Bach o di Philips Glass se stai morendo di fame...
    Ciò non toglie che in contesti meno problematici (ci sono anche classi dove si lavora decentemente e senza particolari patologie) certe strategie didattiche siano utili ed aiutino a progredire nella didattica e nell'apprendimento.
    Ci sono problemi e problemi: non tutte le "soluzioni" sono applicabili a tutti i "problemi". Il "mestiere" di insegnante dovrebbe fornirci di una cassetta di attrezzi da usare, se non in tutte, in molte e diversificate situazioni.
    Che, poi, ci siano presidi ed insegnanti che non sanno fare il loro lavoro (come qui qualcuno ha detto), è cosa altrettanto "normale". Dato che ci sono psicologi (io appartengo alla categoria pur senza esercitare), cuochi, meccanici. medici, che non sanno fare il loro lavoro, accettiamo il fatto che anche tra di noi ci sia qualcuno che non fa poi così bene il suo lavoro di "professionista dell'apprendimento" .

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  6. relativamente al primo post di "profexx" quando chiede come i problemi da lui citati vengono affrontati dal costruzionismo....
    Capisco la provocatorietà della domanda e rispondo che apprendimento collaborativo, costruzionismo e chi più ne ha, più ne metta, non abbiano nulla da dire sulla questione. Il loro ambito di intervento è diverso. Se una soluzione (sempre che di "soluzione" si tratti) non serve per un problema, non significa che per problemi diversi non possa rivelarsi più che utile.

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  7. La mia domanda non vuole essere provocatoria, è proprio una domanda per capire se e come le teorie sull'apprendimento collaborativo e il costruzionismo cercano di fornire strumenti applicabili ad ampio raggio, se possibile anche alle questioni riportate qui in sintesi e nel forum citato in analisi.
    E' una domanda che mi pongono quotidianamente, l'anno scorso in una classe ho provato a progettare delle attività di apprendimento collaborativo, suddividendo gli alunni in gruppi in base ad alcuni interessi espressi da loro, spiegando il senso dell'attività, il fine ed il percorso atteso, eppure l'apprendimento dei singoli del gruppo classe nel complesso è stato scarsissimo, alcuni gruppi non hanno nemmeno portato avanti la prima fase del compito assegnato (e che dovevano svolgere in classe con l'insegnante che li supportava).
    Purtroppo nelle scuole del "regno" abbiamo sempre più alunni, sempre meno docenti, scarsa flessibilità oraria, grossi inserimenti dovuti ad immigrazione i quali si reiterano fino anche a maggio nell'anno scolastico, oltre ai problemi di relazioni difficili, bullismo ecc ecc.

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  8. Ciao: lascio il mio commento qui, perché per qualche strano motivo nel post più recente non si vede il link per il commento. In fretta: naturalmente sono d'accordo con l'idea del "processo" (anzi, dopo la tua proposta - incontriamoci per parlarne - sto cercando di organizzare un incontro da queste parti - Modena - proprio sull'argomento). Per il resto (uso del web 2.o, social software, ecc.) io continuo ad essere pedagogicamente positivo, ma anche in questo caso è il caso (sic!) di guardare in faccia la realtà effettuale... Insomma: credo proprio che sia il momento per fotografare nella maniera più disincantata possibile la situazione attuale pur nella convinzione che, anche di fronte ad un quadro statisticamente (e qualitativamente?) disarmante, noi non dobbiamo rinunciare ai sogni di antichi pedagoghi (Papert, Freinet, Don Milani...). Buona vita.

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  9. Caro Profexx, avevo definito “provocatoria” tua domanda in quanto il tuo post ed altri presenti nel forum da te segnalato andavano nella direzione di condannare certe “fosforizzazioni” (come i francesi denominano la tendenza a concettualizzare e teorizzare all’infinito senza che queste siano di alcuna utilità pratica) che sembrano avere, nelle intenzioni degli autori, qualità taumaturgiche universali o quasi.

    Personalmente credo che il costruttivismo, come “ombrello” sotto cui collocare una miriade di approcci che a questo si ispirano, sia una teoria applicabile ad ampio raggio, nel senso che interi cicli scolastici e un intero sistema scolastico possono essere di natura costruttivista. Se intendi dire se “questo” nostro sistema educativo può, sic et simpliciter, essere riconvertito in modo indolore in approccio costruttivista, allora rispondo con un bel NO.
    Oltre che specifiche competenze didattiche, sono necessarie ampie modifiche normative sulla finalizzazione delle attività educative, sulla struttura dei curricoli, sull’organizzazione del lavoro, sui sistemi di valutazione…. Praticamente impossibile.
    Credo, però, che all’interno dell’ordinamento attuale sia possibile, con la buona volontà e la competenza – virtù scarse quanto i soldi – creare ampie isole di didattica costruttivista, cosa che sta già avvenendo.

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  10. Ordinamento scolastico
    Buona volontà
    competenze
    soldi

    alla fine torniamo alle cose essenziali....
    il docente ci mette la buona volontà, e se è onesto le competenze (o perlomeno cerca di crearsele, io stesso sono consapevole che c'è un vasto mare da navigare ed è anche per questo che sono qui, e ringrazio il moodle moot che mi ha portato alla tua conoscenza)
    ma l'ordinamento scolastico e i soldi non ce li mette il docente.... ce li mette la politica... politica intesa come "dove si spendono i soldi che le tasse dei nostri cittadini fruttano?".

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  11. Certo, molti problemi sono molto ma molto più grandi di noi. Facciamo onestamente quello che nello spazio del nostro "potere" (anche se piccolo , uno lo abbiamo di certo) possiamo fare. E già lo facciamo.

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