Spesso, estremizzare facilita la comunicazione di un concetto.
Secondo me i così detti “Learning Object”, intesi nella loro accezione ortodossa, sono artifici informatici che non sono cognitivamente ergonomici.
Parto del convincimento che la principale sfida che ogni azione educativa e formativa deve vincere sia legata alla sua capacità di favorire lo sviluppo di conoscenza che non sia fine a sé stessa ma possa essere trasferita dal contesto (artificiale e simulato) scolastico, al contesto reale delle attività professionali, sociali e personali per affrontar meglio le quali quell’azione formativa era stata intrapresa.
Corposa letteratura internazionale evidenzia in modo diretto i limiti di un approccio all’uso didattico delle tecnologie basato sui così detti Learning Object.
Altra letteratura, di carattere più generale sull’apprendimento, suggerisce cautela nell’aderire ad un approccio fondato sulla mera organizzazione e distribuzione di contenuti ed invita ad utilizzare modalità diverse di uso delle tecnologie; questo sulle base delle problematiche con cui ci si deve misurare nella concezione, nello sviluppo e nella realizzazione di attività formative in cui sono integrate le tecnologie.
Il Learning Object rappresenta, infatti, la versione informaticamente arricchita, normata e standardizzata (per l’inter-operabilità e la ri-usabilità) del libro di testo.
I concetti e le pratiche che lo caratterizzano sono di derivazione prettamente informatica (vedasi la problematica della standardizzazione) con trasposizione automatica al mondo del trattamento (informatico) di informazioni e collegando queste ultime, nuovamente in modo automatico ed arbitrario, all’ambito della cognizione e dell’apprendimento.
La disputa sulla granularità ottimale dell’unità minima di informazione racchiudibile in un LO ed il collegato concetto di atomo di conoscenza, sono esempi dell’estraneità della logica dei LO ai concetti, alle logiche, ai meccanismi reali della conoscenza e dell’apprendimento.
La cosa non stupisce più di tanto considerato che questa pratica è nata e si è evoluta in ambito strettamente informatico e si è nutrita nella prossimità con l’industria tecnologica più che con il mondo della ricerca cognitiva, pedagogica e didattica.
Se la logica dei LO non rappresenta una soluzione dal punto di vista della cognizione, questa pare non essere vincente neppure sul piano commerciale in quanto la reale “riusabilità” non è così diffusa come avrebbe dovuto essere se si fosse dato credito alle previsioni dei loro sostenitori. Non pare, ad esempio, che le diverse iniziative, tra cui progetti finanziati dalla UE, tese a standardizzare gli aspetti gestionali per la creazione di banche dati inter-organizzazioni e transnazionali, abbiano portato a risultati concreti e siano state abbandonate.
Pare, quindi, che la reale riusabilità possa avvenire, se non per tematiche di interesse molto vasto (informatica, lingue), solo in contesti d’uso circoscritti e la cui dimensione non giustifica l’ingente sforzo (e costo) compiuto per il loro sviluppo.
Si potrebbe, quindi, concludere che il Learning Object si configura come un concetto ed uno strumento valido solo in linea di principio. Questo, forse, perché l’uso di un oggetto informatico finalizzato ad intervenire sulla conoscenza e l’apprendimento non può avere lo stesso trattamento di un qualsiasi altro oggetto/programma digitale.
venerdì 17 novembre 2006
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…. a proposito (di LO)
RispondiEliminaUn giornalista presente alla conferenza stampa di chiusura TED domanda dove sono finiti i …LO: afferma di non sentirne più parlare, quando fino a poco tempo, fa erano sempre presenti nei convegni…..
Replica Shaerf (CNIPA) affermando che, in effetti, sta diminuendo la componente LO nel dispositivo di una azione di e-learning a favore dei servizi didattici e di forme collaborative di apprendimento. Il focus si è, quindi, spostato. Anche per le piattaforme (LMS, per intenderci) sta succedendo la stessa cosa: se ne parla di meno perché sono sempre meno centrali e critici nella qualità dell’azione formativa.